Andrea De Candia – Vita
Le ispirazioni sono le testimonianze del fatto che ho vissuto.
Le ispirazioni sono le testimonianze del fatto che ho vissuto.
Il mio star male sta bene così.
Spesso chi disprezza le scelte altrui è immemore del proprio passato.
Non esistono i cattivi: esistono quelli profondamente insicuri, eternamente fragili. Ecco: esistono i dannati.
Ancora non si conoscono le misure del talento.
La mia ombra è una vittima che vorrei colpire ogni volta, tanto che è scomoda. Ma mi si attacca ai piedi, così ritorta che puntualmente non riesco a raggiungerla.
Quando scrivo, carezzo l’idea di schiaffeggiarmi dolcemente.
Soffrire la solitudine in un preciso istante significa aver percepito troppa compagnia tutta insieme.
La mia vita è come sbucciare una cipolla: le tolgo ogni strato, mi spoglio di ogni illusione, poi continuo a tagliarla, sperando che man mano che si assottiglia, troverò uno scrigno, il cuore delle cose: l’autenticità. Ed ho tanta paura che mi scompaia dalle dita, così, all’improvviso.
Amo quelle persone che mi sono vicine da sempre, seppur nella lontananza, che ardono di orgoglio per me e non lo vanno a dire in giro gonfiandosi, quelle con cui ho un legame di sangue, il sangue difficilmente può tradirsi.
Nel cercare di capire i folli, anch’io finisco col diventare folle. Ma non è follia, anzi bellissima follia!
Non adoro né il freddo, né il caldo, ma il caldo nel freddo e il freddo nel caldo.
Nella vita mi capita di recitare. Quando sono solo.
Cerco di non dimenticare nulla perché ho paura che tutto mi dimentichi.
Mi vedo sempre assente per via della mia presenza.
Lo scrittore non deve mai scusarsi se usa con ripetuta insistenza alcune parole al posto di altre. Sai, i termini sono come le persone ed è normale che ad alcuni ci si è affezionati più che ad altri.
Non amo gli ambiziosi, quelli che mai lascerebbero il centro della strada, quelli che declamano la luce a voce alta. Amo chi sa dimettersi, chi sa sostare nell’ombra e sfiora i muri con i gomiti, chi tace di quei graffi e li porta dentro di sé, chi non rinfaccia mai lo spazio che ha ceduto.