Silvana Stremiz – Stati d’Animo
A volte tutto quello che si può offrire è la compassione.
A volte tutto quello che si può offrire è la compassione.
Si pensa che attraversare il “grande freddo” sia un viaggio come un altro. Che quel “biglietto” di sola andata non faccia paura. Si pensa di non avere bisogno di niente e di nessuno. Ma si sbaglia, sai? Si viaggia da soli in mezzo al freddo, nascono le paure che non sapevi di avere. Le certezze vanno a farsi “fottere”. E tutto è così maledettamente difficile e complicato. La speranza di un po’ di pace non ti basta, non sazia la tua consapevolezza del dopo, perché di “quel dopo” non sai che fartene. Quel salto di “dimensione” è un salto così difficile da compiere, anche con “la freddezza della serenità”. E non ti basta neppure credere in Dio, o sperare che ci sia un Dio ad accoglierti alla fine di quel viaggio, per renderlo un “viaggio accettabile”. Perché “quella fermata” non è accettabile. E quel cuore sterile vorrebbe battere di nuovo.
Ad un certo punto impari a vivere anche senza “interrogare” il cuore.
Le cicatrici servono. Servono a ricordare che ci si può far male, che esistono i bastardi. Ma a volte siamo noi, l’unico “bastardo” che abbiamo davvero incontrato. L’unico in grado di farci del male davvero. Ci ricordano che vivere non è semplice, decidere non è semplice. Basta giocare una carta sbagliata e può finire una partita. Le cicatrici servono a renderci più forti e invulnerabili, a costruire muri invalicabili fra noi e il dolore, fra noi e il nostro cuore, fra noi e il mondo, fra noi e le bugie, fra noi e la verità, fra noi e la nostra anima. Le cicatrici sono bastarde, sanguinano all’improvviso e ci riportano indietro nel tempo “di quel dolore”, ma servono a farci crescere, a renderci impenetrabili ad altro dolore. A renderci abbastanza forti da non soffrire ancora.
Mi chiedo spesso dove mi porterà questo viaggio e se tutto questo viaggiare fra gli errori della vita e qualche soddisfazione possa davvero farci raggiungere una dimensione di pace, o se tutto questo non sia che un illusorio desiderio della mia fantasia.
Mi piace guardare le persone negli occhi, mentre schivano il nostro sguardo con l’imbarazzo delle bugie o delle emozioni per timore di farsi leggere “il celato”. Mentre lo abbassano, mettendo al riparo loro stessi. Ma se io, abbasso lo sguardo, è perché non voglio svelarti nulla di me.
Sono stanca delle persone complicate: vorrei davvero che le persone fossero ciò dicono di essere, che il nero fosse nero e il bianco fosse bianco. La vita sarebbe meno complicata.
Vi è in ognuno di noi un po’ di dr. Jekyll e un po’ di Mr. Hyde.
Scoprire che chi credevi “Un Dio” è solo frutto della tua più fervida immaginazione ti fa perdere la “fede” negli uomini.
Una cosa è ascoltare, un’altra è “sentire”, tutti distrattamente ascoltano ma pochi “sentono”.
Ti svegli una mattina pieno di lividi, ma pronto a riprendere il volo.
La fine a volte è “l’inizio” più bello.
Odio quella porta socchiusa che ti lascia in sospeso, che non ti permette di entrare né di uscire.
Odio “il forse”, quello che ti lascia in bilico sospeso al nulla.
Ognuno ha un “proprio ego” in cerca di conferme.
“L’elemosina del perdono” non è mai perdono.
Spesso il nostro ego si “trasveste di umiltà”, spoglio di “onestà”.