Mariella Buscemi – Ricordi
E la tormenta del passato segue il suo diritto all’oblio. Siamo pionieri nuovi a tenersi per mano per domare la risacca.
E la tormenta del passato segue il suo diritto all’oblio. Siamo pionieri nuovi a tenersi per mano per domare la risacca.
Spesso, non si batte in ritirata per mancanza di coraggio, ma per la mancanza di coraggio degli altri.
Il mio coraggio come corda. Un abbraccio come nodo.
Perché le paure sono sempre incise a “scavernare” in profondità ed il coraggio è fatto di croste che si sollevano per colpi di unghia decisi.
Il coraggio d’affacciarmi nel mio abisso che sa d’anima rimescolata al furore è sprezzante incoscienza lunga una goccia di sudore mista alla vertigine del non senso.
Mi preferirei all’inferno piuttosto che in quel purgatorio transitorio e sospeso dove, come ripostiglio, vengono ammassati i più. Di paradiso non c’è orizzonte alcuno. Né lo vorrei. Mi tengo le miei piume ammazzate ché la mia “voliera” è un reame.
Spengo la guerra per un po’, mi nascondo in trincea, aspetto, in agguato. Non mi interessa di combattenti e reduci quando si fa lotta per la sopravvivenza, ché in qualche modo bisogna zoppicare. Ho mille strumenti di tortura. Stasera, che pena m’infliggo?
Chissà cosa sente la foglia che si stacca dal ramo, benché le sue nervature apparissero salde nell’innesto, invece, guardarsi morire la speranza del verde ed arrivare alla secchezza dell’arido, inquietante, malaticcio giallognolo e tentennare nella sospensione del refolo che, sadico, pone in prospettiva lo schianto, ma perpetua il senso del precipitare nella stasi della vertigine. Aspiriamo al nitore degli approdi, delle definizioni perentorie dei verbi nella coniugazione d’un passato prossimo che ci faccia chiudere gli occhi in segno di rassegnazione, evitando il gerundio della paura. Sta cadendo.
Ho compreso l’inconoscibile più che mai e professato l’indicibile con la tua mano sulla bocca, pronta a stracciarmi le parole inaudite, ché le verità van taciute: saperle e non dirle, affranca. Ho cambiato il mio nome in “nessuno”, così che a trovare il soggetto delle tue cose spiacevoli, il destino svanisca nelle mani dell’inesistente e non si paventi alcun presagio, ma non sapevo che ciò sarebbe valso ad escludermi anche dal tuo bello.
I bambini risvegliano la parte buona di noi, quella sopita, imbastardita dalla trivialità, dalla malizia, riscoprendo lo stupore e quel senso di rinnovato interesse nel gustare la vita, toccandolo questo mondo che ci passa accanto e nemmeno ci sfiora, impegnati come siamo dal contemplare sovrastrutture ed archetipi. Impariamo di nuovo a camminarci a carponi su questo mondo, forse, è la prospettiva migliore!
Un cuore sazio è un cuore felice!
Bisogna raggiungere la felicità a turno, sennò ognuno sarà impegnato nella propria festa per poter anche partecipare a quella dell’altro.
Ma può essere che la felicità, quella che ci sembra perfetta nella forma e apparentemente a portata di mano o che rispecchi maggiormente ciò che abbiamo da sempre desiderato sia, in realtà, quella più pericolosa, mentre quella che ci sembra più lontana dai nostri interessi e dalle nostre aspettative, riservi le più dolci sorprese, la più immediata, fantastica, inattesa, insperata magia?
Come le parole che non ho mai detto, come un treno che non ho mai preso, come quelle emozioni mai vissute fino in fondo, qualcosa che ho assaggiato, ma non è stato possibile gustare pienamente. Vita a metà tra attesa, giudizio e timore, tra “oggi no”, “non ancora”, “dopo”, “c’è tempo” e quel tempo non arriva mai o passa troppo in fretta e non ti trova. Appuntamenti dimenticati, rinviati, incontri mancati, disdetti, ti senti inghiottire da una clessidra e soffocare dalla sua sabbia. E sei su, ti capovolgono e finisci giù, i granelli appiccicati dappertutto, sporca, indecente e neppure presentabile; indovina un po’? Mi toccherà dir di no anche stavolta!
Probabilmente, si vuole qualcosa relativamente a quanto intensamente ed incisivamente se ne ha bisogno; forse, non abbiamo mai a che fare con alcuna forma di desiderio puro, ma questo è, in qualche modo, sempre asservito ad uno stato di necessità.
Certi desideri sono preghiere rivolte a Dio.
Ogni tanto, di notte, ci si rompe dentro. Si sente, allora, l’estremo bisogno di lavarsi di ciò che si è avuto addosso, per avere la sensazione di potersi fare toccare da ciò che si desidera davvero.